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IL TEDESCO (23 anni)


Mio padre è un libero professionista di Berlino Ovest, mia madre fa la segretaria presso la cancelleria del sindaco di quella città. Io me ne sono andato da casa a quattordici anni perché non andavano d’accordo e perché preferivo stare lontano da quei conflitti famigliari, senza aspettare la decisione del tribunale circa con chi avrei dovuto stare, e infatti poco dopo hanno divorziato. Da allora i rapporti con mio padre sono zero, mentre con mia madre ho conservato una certa amicizia.
 Ho battuto un po’ la strada, sono vissuto con un amico per sei mesi. Cercavo di lavorare, ma era impossibile perché i miei genitori avevano denunciato la mia fuga. E’ già stato difficile finire la scuola dell’obbligo, nonostante le minacce dell’assistente sociale perché tornassi a casa, che poi si è deciso a lasciarmi la carta d’identità e a lasciarmi in pace. Così ho cominciato i furti negli alloggi, finché sono stato arrestato e ho fatto sei mesi nel carcere minorile. L’igiene, l’assistenza, tutto era ottimo, ma c’era un’assoluta disciplina, le guardie erano civili. Le celle erano tutte singole, e io mi sentivo abbandonato, perché eravamo chiusi ventitré ore al giorno. Al processo mi hanno condannato a un anno sospeso per tre, per cui sono stato scarcerato. Ho cominciato a lavorare in una ditta di montaggio, dove ho conosciuto persone non molto raccomandabili, tant’è vero che quella ditta oggi non c’è più. Montava impianti nelle case, porte, finestre, e ogni progetto doveva essere firmato da un ingegnere statale che controllava le norme di scurezza, ma che firmava senza controllare.
 Sia l’esperienza con la polizia che la conoscenza di queste persone mi hanno spinto a espatriare, e sono andato in Inghilterra dove ho lavorato negli alberghi come cameriere, aiuto-cuoco eccetera. Avevo una casa con un piccolo giardino e una porta laterale, da cui un giorno sono entrati degli skinheads, quelli con la testa rasata, minacciandomi. Io possedevo una pistola ad aria compressa, ho sparato un colpo e ne ho ferito uno, che mi ha denunciato alla polizia. Mi è stata riconosciuta la legittima difesa, ma la polizia mi ha ufficialmente consigliato di andarmene. Ho così deciso di tornare in Germania, con una ragazza italiana che avevo conosciuto e che ha voluto a tutti i costi venire con me. Siamo arrivati a Monaco dove ci siamo messi a cercare lavoro e alloggio, ma se non è stato difficile trovare il primo, è stato impossibile trovare il secondo, tanto che dopo due mesi sono stato costretto a tornare a Berlino con lei.
 Finalmente abbiamo trovato sia l’alloggio che il lavoro, sempre nel settore alberghiero, e si può dire che stessimo abbastanza bene. Poi è scoppiato un casino, anche se io lo prevedevo, perché lei aveva un bambino ed è tornata in Italia a prenderlo. Il tempo passava, io non sentivo niente, mi sono preoccupato, ho fatto le valigie e sono venuto a cercarla. L’ho trovata insieme al padre che non voleva lasciare andare via né lei né il bambino. Dopo tre mesi sono tornato in Inghilterra, dove sono rimasto molto tempo fermo, perché avevo bisogno di riordinare le idee. Poi ho ripreso a lavorare, ma non riuscivo a darmi pace di avere perso questa ragazza per cui sono tornato in Italia dove sono rimasto per qualche mese con lei. Ho cominciato a frequentare abitualmente lei e il padre del bambino, stringendo anche un rapporto di amicizia con lui.
 Dopo avere fatto la stagione estiva negli alberghi della Liguria, ho trovato lavoro presso una famiglia benestante come domestico, autista e guardia del corpo. Quella famiglia era piena di conflitti, il marito, rappresentante di alta moda, voleva che spiassi lei, e viceversa, e poi il mio stipendio non arrivava mai. Finché mi sono saltate le valvole e ho deciso di prendermi quello che mi spettava, nel senso di vuotargli la villa, cosa che ho fatto, per poi andarmene dall’Italia.
 Sono tornato in Inghilterra, anche se mi avevano sconsigliato dal farlo, perché era il paese di cui conoscevo meglio abitudini e mentalità, che ormai sentivo più mio, come lo sento tuttora. Ho ripreso a lavorare nei grandi complessi alberghieri, finché non ho trovato il modo di fare un po’ di soldi a parte, con assegni rubati, servendomi di varie patenti, che in quel paese non hanno foto. Sono stato arrestato per una chiamata di correo, e chiuso nel carcere di Birmingham, un piccolo istituto di 120-150 persone, dove c’era molto rispetto sita tra i detenuti che verso le guardie, che anche lì sono civili. Le celle erano in parte singole, in parte doppie, e anche cameroncini, tutti privi di servizi igienici, perché la sveglia è alle ore 7, bisogna essere lavati e vestiti alle ore 7,30, colazione alla mensa alle ore 8, per poi andare a lavorare o a scuola o nella sala giochi. Si faceva molta educazione fisica in una palestra attrezzatissima, era impossibile restare soli o lasciarsi andare.
 Processato per furto, ricettazione e truffa, sono stato condannato a due anni sospesi per uno, e quindi scarcerato, ma non ho avuto il tempo di lasciare l’aula che sono stato arrestato dagli agenti di Scotland Yard con un mandato di cattura internazionale per il furto aggravato nella villa in Italia. All’udienza il rappresentante del governo italiano ha dato parere favorevole alla libertà provvisoria, ma la data della decisione è stato rinviata di tre mesi. Alla nuova udienza il rappresentante italiano ha ritirato la richiesta di estradizione, e pertanto sono stato scarcerato. Ma di nuovo prima che lasciassi l’aula mi hanno arrestato gli agenti dell’ufficio immigrazione che volevano espellermi come soggetto indesiderabile, o qualcosa del genere. Mi sono subito appellato contro questa proposta, con il risultato che sette settimane dopo mi hanno rilasciato il permesso di restare.
 Dopo un po’ di tempo ho deciso di cambiare paese e sono venuto in Italia perché credevo che, essendo stata ritirata la richiesta di estradizione, non ci fosse più contro di me il mandato di cattura per il furto in quella villa anche se, per precauzione, avevo i documenti falsi. Invece sono stato arrestato per furto aggravato e, in più, per i documenti falsi. Condannato a due anni e due mesi, sono arrivato alle Nuove di Torino, che erano sovraffollate. Mi hanno messo all’ultimo paino del quinto braccio, che allora era di massima sicurezza e ospitava dei politici che poi sarebbero stati spostati al sesto braccio. Poi sono andato al pianterreno e infine all’ultimo piano del secondo braccio, che era riservato agli studenti, perché mi ero iscritto al corso di impiantistica civile. Lì sono rimasto finché non hanno accolto la mia richiesta di lavorare e mi hanno messo al primo, il braccio dei lavoranti, da cui sono uscito per scadenza dei termini. Fuori ho ricevuto l’invito a presentarmi per sostenere l’esame del corso, ma non l’ho fatto perché mi ero messo a lavorare e non avevo tempo.
 Ero ospitato da un amico, ho cercato di vivere tranquillamente, ma era molto difficile perché ero pregiudicato e straniero. Ho cominciato a fare l’impresario teatrale in un’agenzia grazie alla mia conoscenza delle lingue, organizzavo spettacoli per discoteche e night, assumevo gli attori e gli artisti che servivano, trovavo le entreneuses. Era un lavoro interessante perché si girava molto, si conosceva molta gente, non aveva orario, insomma ero libero.
 Poi mi ha preso una depressione che mi ha spinto a prendere droga, fino a un punto in cui lo stipendio non mi bastava. Sono stato costretto a entrare nel giro e a vendere droga su piccola scala ad alcuni conoscenti. Un giorno sono stato arrestato dalla Guardia di Finanza, portato in ospedale privo di conoscenza per la testata di un finanziere, e poi trattenuto altri dieci giorni in caserma dove sono stato interrogato due volte dal giudice. Ho capito ben poco, perché non conoscevo bene l’italiano, e non c’era nessun interprete come invece prevede la legge.
 Così sono arrivato al carcere di Ivrea dove non ho più visto droga e nemmeno giudici. Avevo un avvocato messo da un amico, ma l’ho revocato perché non si è mai fatto vedere. Ero spaesato, senza soldi, e stavo anche male. Il medico ha riconosciuto la necessità di una gastroscopia ma non ha mai fatto richiesta, e di conseguenza l’ho fatta solo dieci giorni dopo, dopo molti miei solleciti. Essa ha rivelato un’occlusione tra lo stomaco e l’intestino, ma non ho mai avuto nessuna cura perché dicono che guarisce da sola, il che mi sembra piuttosto strano, e intanto continuavo ad avere forti dolori.
 Poi ho chiesto un dentista che è arrivato dopo cinque mesi, mi ha guardato in bocca, non ha fatto niente e non l’ho più rivisto. Dopo altri cinque mesi non riuscivo quasi più a masticare, ho insistito di nuovo per il dentista e il medico mi ha detto che qui dentro non veniva più, anche se c’era un gabinetto dentistico nuovo, per cui bisognava essere scortati fuori che vuol dire, per quelli in attesa di giudizio come me, altri mesi per l’autorizzazione del giudice. Ho chiesto il vitto di latte per poter mangiare, ma ne l’hanno nettamente rifiutato perché uno della mia età non può alimentarsi solo di latte.
 Fino all’anno scorso ho avuto la possibilità di telefonare a mia madre, come la legge permette a chi non fa colloquio da quindici giorni, in lingua tedesca perché lei non sa una parola di italiano. Poi è uscita una circolare ministeriale che vieta l’uso di lingue straniere o dialetti senza una specifica autorizzazione. L’ho chiesta al giudice che non è ancora riuscito a rispondermi, pur avendo trovato il tempo per respingermi tre istanze di libertà provvisoria. Io non ho mai fatto colloquio, la mia posta non va molto regolarmene, nel senso che molte mie lettere non sono mai arrivate e altre mai partite. Ora che non posso nemmeno più telefonare il mio già fragile rapporto con mia madre si va dissolvendo del tutto.
 Ora lavoro alle pulizie della sezione, e un giorno che portavo i secchi della spazzatura mi sono tagliato con dei vetri rotti. Ho firmato una dichiarazione in cui dichiaravo mi ero tagliato da solo facendo il mio lavoro, ma la guardia ha detto che non andava bene e l’ha strappata. Mi ha dettato e fatto firmare un’altra dichiarazione in cui mi assumevo ogni responsabilità e non si parlava più di lavoro, il che significherebbe che io mi sono autolesionato volontariamente. Infatti di questo è convinto il comandante, il che mi secca molto, non essendomi mai autolesionato in quattordici mesi.
 Di mia iniziativa ho scritto al consolato, al tribunale della libertà, a chiunque mi sia venuto in mente, per denunciare le irregolarità che mi erano successe Il nuovo avvocato si è precipitato per dirmi che avevo fatto un casino, che le violenze dei finanzieri sono difficili da dimostrare, ma che l’assenza dell’interprete agli interrogatori sarebbe da sola sufficiente a fare annullare l’istruttoria, il che vuole dire rovinare mesi di lavoro del giudice istruttore, per cui i giudici ora ce l’hanno con me e vogliono farmela pagare al processo. Se sarò condannato farò il possibile per essere trasferito, possibilmente in Trentino, dove hanno una mentalità completamente diversa, più vicina alla mia. In Inghilterra e in Germania danno ai detenuti tutta l’assistenza possibile per reinserirsi, fin dal giorno dell’arresto pensano già a quello della scarcerazione, tutto il contrario che in Italia dove spero di non tornare mai più. Insegnano dei lavori che siano effettivamente utili fuori, non lavori fittizi come qui, tipo scopare nel corridoio. Per il resto nei carceri italiani non si fa niente tutto il giorno, oltre a guardare la televisione o camminare avanti e indietro e quando si esce, dopo averne passati di tutti i colori, si è imbestialiti contro tutto e tutti.