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L’ECLISSE CHE NON CI FU
Finalista al Premio di Letteratura Fantastica di Courmayeur 2000


Shirley controllò il fuoco della videocamera, e fece cenno a Gary che poteva parlare. Si trovavano sul prato verde smeraldo davanti al liceo, e una sola minuscola nuvola candida galleggiava nel cielo di un azzurro denso, quasi scintillante.
 Gary guardò in camera e cominciò il suo discorsetto: “Amici, so bene che far parte del consiglio del liceo come rappresentante degli studenti è una responsabilità importante. Ma so anche che è grande il contributo che noi possiamo dare al liceo. Voi mi conoscete e... insomma, votatemi e non vi deluderò.”
 A questo punto Gary esibì il suo famoso sorriso che, in mezzo a quelle lentiggini e sotto quella ciocca castana ribelle, faceva sempre il suo effetto. Shirley spense la videocamera e uni il pollice e l’indice a indicare che tutto era andato benissimo. La giornalista aveva la stessa età del suo intervistato e, se non avesse indossato quella giacca di velluto con bottoni in madreperla, avrebbe potuto essere scambiata per una studentessa come quelle che, in minigonna, erano sedute sulla panchina presso la rete del campo da football del liceo. Erano Gwen, Ellie e Mary Lou, che facevano parte delle ragazze pon pon.
 Mentre Shirley riponeva l’apparecchio nella custodia, Tip si avvicinò  a Gary e lo colpi alla spalla con un leggero pugno. Aveva i capelli dritti gellati di verde, un gilet giallo sulla camicia viola, un paio di scarpe sportive enormi e tre orecchini all’orecchio destro.
 “Come sono andato?” chiese Gary.
 “Io stesso non avrei saputo fare meglio. Può essere l’inizio di una luminosa carriera politica.”
 “Certo, se tutti fossero scemi come il tuo giullare.” Il tono era sibilante, cattivo. I due si voltarono. Il ghigno di Zack si stagliava sulla mascella quadrata. La sottile cresta di capelli neri solcava la testa rasata. Era il capitano della squadra di football, l’idolo delle ragazzine del primo anno, ma appariva massiccio anche quando non indossava le pesanti protezioni.
 “Ehi, ehi, ma come ti permetti...” cominciò Tip.
 “Chiudi il becco, sto parlando con il nostro candidato.”
 Tip fece un passo avanti, ma Gary lo afferrò per la spalla, impedendogli di ingaggiare una rissa che, per il suo multicolore amico, sarebbe equivalsa a un suicidio. Zack spostò il peso del corpo da un piede all’altro e infilò le mani nelle tasche del giubbotto di pelle nera chiodato.
 “Io so come davvero si fa politica, per ottenere cose vere, reali, non solo belle parole come quelle che tu sei tanto bravo a mettere insieme. E gli studenti questo lo capiscono.”
 “Se è cosi, non hai da preoccuparti, voteranno tutti per te.”
 “Tutti meno me.” disse Tip, che però fece due passi indietro quando Zack lo guardò Ma il massiccio capitano non lo degnò di una risposta e riportò la sua attenzione su Gary.
 “Proprio così, per cui ti consiglio di ritirarti per evitare una figura di merda!” sibilò di nuovo Zack.
 Gary sostenne il suo sguardo, Zack non attese la risposta, si voltò e si allontanò. Gary si guardò intorno e, con disappunto, notò che Shirley se n’era già andata. Aveva intenzione di invitare la bella giornalista televisiva a uscire con lui. Pazienza, le avrebbe telefonato allo studio della LBT. Salutò Tip, salì sulla sua piccola cabriolet gialla, partì e si diresse verso il centro di Long Beach, la ridente cittadina sulla costa dell’Oceano Pacifico. Rallentò all’incrocio, ma non c’era nessun altro veicolo in arrivo né da destra né da sinistra. Poteva sentire il rombo dell’oceano, possente e rassicurante, benché da quel punto non fosse visibile. Imboccò il largo viale fiancheggiato dai palmizi su cui si affacciavano i terrazzi e i giardini delle grandi case bianche. Da una delle case gli giunse il vagito di un neonato. Incrociò solo due ragazze in shorts che sfrecciavano sui pattini a rotelle, la pelle abbronzata e i capelli al vento.
 Improvvisamente il motore della cabriolet gialla cominciò a tossire e si spense. Gary riuscì a riaccenderlo solo al decimo tentativo. Era proprio ora di cambiarla, dopo tutto ce l’aveva già da un anno. Gary era indeciso tra la Aston Martin metallizzata e la Chevy rossa fiammante, tra le centinaia che avevano finito di riparare. Il giorno dopo avrebbe preso una di quelle due. E se avesse preso invece una jeep accessoriata?

*     *     *
Non ricordava da quanto tempo aveva iniziato quella marcia, le fitte di dolore ai piedi e alle ginocchia ormai erano continue, la camicia gli ricadeva a brandelli sul torace mettendo allo scoperto le chiazze rossastre delle ustioni solari. Le spalle erano segnate dalle cinghie dello zaino, che non era molto pesante ma che portava da un tempo lunghissimo, nemmeno ricordava quanto. Anche le scarpe erano a pezzi, aperte sul davanti e prive di lacci. Per tutto il tempo, una parola gli era risuonata nella mente tormentata: Ragnarok.
 Ragnarok non doveva prenderlo, doveva sfuggire a Ragnarok.
 L’alito infuocato del deserto gli arroventava i polmoni, e almeno due o tre volte era stato sicuro di morire, quando aveva finito l’acqua e il cibo. Ma poi era riuscito a riprendere a camminare, fino alla prossima polla sporca e maleodorante dove si era abbeverato come un animale. E finalmente era arrivato alla nera strada asfaltata, riconoscibile anche cosparsa di buche a causa della lunga mancanza di manutenzione.
 E poi aveva visto quel cartello che indicava la prossimità di un centro abitato. Abitato da esseri umani. Non aveva la minima idea di che genere di esseri umani avrebbe incontrato, cosa gli avrebbero chiesto e cosa lui avrebbe potuto chiedere a loro.
 Ora non poteva sbagliarsi. Era il profumo del mare che gli arrivava da ovest. Si lasciò cadere seduto su una pietra e si passò una mano nei capelli sporchi e stopposi. Una sola cosa sapeva con certezza. Per nulla al mondo doveva abbandonare lo zaino. Si trattava di un vecchio zaino di tela militare, sporco e scucito in diversi punti, ma non doveva perderlo.
 Improvvisamente si accorse che era calata la tenebra, da cui dedusse che doveva aver dormito. Si rialzò e riprese il cammino. E finalmente vide un punto luminoso, poi un altro, e un altro ancora. Era finalmente arrivato alla fine della sua fuga. Forse Ragnarok non l’avrebbe preso...

*     *     *
Gary entrò nel salotto il cui pavimento era coperto dal tappeto persiano raffigurante un pavone e un gallo stilizzati. Il tv color, il videoregistratore e lo stereo erano incassati in eleganti supporti di pino laccato. Donald Baxter alzò gli occhi dal libro rilegato, si tolse gli occhiali di tartaruga e sorrise. Presidente della Electric Mind Storm Company, si trovava in uno dei tre giorni della settimana in cui non lavorava, e in cui poteva dedicarsi ai suoi amati poeti latini e greci.
“Allora, figliolo, ti ho visto alla televisione. E ho visto anche la giornalista che ti ha presentato. E’ Shirley Brown, vero? Conosco e stimo suo padre, giochiamo spesso a golf.”
 Il ragazzo annuì e sedette sul divano di alcantara.
 “Voglio essere eletto anche per fregare quello stronzo di Zack. Suo padre è il titolare della più importante agenzia pubblicitaria di Long Beach.”
 “Ah, sì, non conosco Zack ma ho avuto a che fare con suo padre. Se suo figlio è come lui, devo concordare con la tua definizione. Io e Philip Hargrove siamo stati soci, prima che mettesse su l’agenzia di pubblicità, l’ho scoperto a trafficare con certi politici suoi amici, tangenti e roba simile, e l’ho sputtanato pubblicamente. Non l’ho più rivisto ma so che me l’ha giurata.”
 Attualmente la Hargrove Advertising aveva le modelle e i modelli più affascinanti e meglio pagati. Tutti i giovani sognavano di diventare come loro, nonostante la brevità delle loro carriere, e Philip Hargrove personalmente selezionava gli aspiranti.

*     *     *
Il notiziario di quel giorno aveva trattato del nuovo asilo-nido, del comandante dei vigili del fuoco che andava in pensione, dell’incendio di un magazzino, della presentazione della raccolta di poesie di Eleonor Sheridan e dall’imminente annuale Festa di Fine Estate che sarebbe avvenuta nella baia con regata, sci d’acqua acrobatico, mongolfiere, clown, giocolieri, fuochi d’artificio e leccornie per tutti.
 Shirley fece cenno che aveva finito e Eddie mandò in onda lo spot pubblicitario. La giovane giornalista si alzò e bevve dalla bottiglia di acqua minerale. Quindi prese la giacca, salutò Eddie consigliandogli per l’ennesima volta di mettersi a dieta, e uscì dallo studio della LBT dove lavorava quattro ore al giorno per quattro giorni alla settimana.
 L’alloggio dove viveva era dall’altra parte di Long Beach ma, con il suo scooter, ci arrivò in circa dieci minuti. Sulle scale incontrò e salutò Mark e June, i due giovani e simpatici vicini di casa. Da circa tre mesi, da quando avevano deciso di convivere, avevano occupato l’alloggio disabitato accanto, con grande piacere di Shirley. Era un aspetto del suo carattere, sapere che c’era qualcuno al di là del muro la faceva sentire meglio, più che una reale necessità di sicurezza. A Long Beach non si correva praticamente mai nessun pericolo, il crimine più grave che era stato commesso in un anno era stato una sassata contro la vetrina del bar di Bert.
 Shirley entrò, si tolse la giacca e, per prima cosa, telefonò a sua madre per avere notizie di suo fratello minore che il giorno prima era stato ricoverato per un attacco di peritonite. Sua madre la rassicurò, nell’ospedale erano ricoverate solo una ventina di persone e quasi l’intero corpo medico e paramedico aveva potuto dedicarsi a Martin. La giovane giornalista tirò un sospiro di sollievo e aprì il frigo. Un po’ di roba surgelata c’era ancora ma il giorno dopo, approfittando del fatto che non avrebbe lavorato, avrebbe dovuto fare un giro al supermarket abbandonato.

*     *     *
“Game over” strillò l’altoparlante del computer, Tip uscì dal videogioco e sbuffò. Ormai era troppo bravo e non c’era più gusto. Il giorno dopo doveva andare a vedere se ne trovava ancora qualcun altro nel supermarket abbandonato, ma non ci contava, aveva già guardato dappertutto.
 Tip ripensò a Gwen. Quella ragazza lo faceva impazzire, quando le parlava lei gli lasciava chiaramente capire che ci stava, gli aveva anche lasciato infilare una mano sotto la sua minigonna e la lingua dentro la sua bocca ma, quando le chiedeva un appuntamento per andare fino in fondo, aveva sempre una scusa. O doveva studiare o aveva mal di testa. Non prendeva niente sul serio, anzi era un po’ matta, ma proprio per questo era simile a lui e insieme sarebbero stati benissimo, doveva capirlo anche lei. Ma domani le avrebbe parlato chiaro, o si decideva o lui avrebbe mollato.
 Guardò il Cartier di platino che aveva al polso. Erano le due passate, e nessun rumore giungeva né dall’interno né dall’esterno della villa. Papà e mamma erano andati al loro Gruppo di Meditazione Trascendentale, probabilmente ne avrebbero avuto per tutta la notte e lui non aveva ancora sonno. Scartò l’idea di leggere un fumetto, si alzò, salì la scala che portava alla terrazza e si affacciò alla fresca aria della notte.
 La ragazza gli voltava la schiena, con l’occhio incollato al telescopio puntato al cielo stellato. Non aveva avuto il minimo dubbio che avrebbe trovato lì sua sorella Margie. Se la ricordava fin da quando aveva imparato a leggere, a girare per le case disabitate a cercare libri che parlassero di stelle, supernove, nane bianche, buchi neri, comete e meteoriti. Ricordava la sua gioia quando, a dodici anni, aveva trovato il suo primo telescopio, e i suoi pianti quando aveva scoperto che non funzionava. Ma aveva ripreso la ricerca, e infine aveva trovato quello che stava usando ora.
 Tip le si avvicinò badando a non provocare il minimo rumore ma probabilmente, anche se qualche rumore ci fosse stato, lei non se ne sarebbe accorta. Allungò la mano e la pizzicò tra le gambe. Margie spiccò un salto, lanciò un urlo e si girò di scatto, con gli occhi che lanciavano fiamme.
 “Brutto bastardo!” gridò. La sua mano saettò in avanti e, se non fosse stato abbastanza svelto a saltare indietro, suo fratello avrebbe sentito sulla guancia per almeno tre giorni l’indignazione della ragazza. L’urlo e il ceffone, anche se mancato, parvero aver placato Margie, che guardò suo fratello e gli sorrise. Anche Tip sorrise. Margie aveva i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, un paio di grandi occhiali rotondi e un’ampia camicia bianca con le maniche rimboccate ai gomiti. Suo fratello le aveva detto più volte che, se solo si fosse vestita in modo più femminile (anche solo acconciandosi i capelli e non lasciandoli così sciolti come una selvaggia), avrebbe sicuramente trovato qualche corteggiatore. Ma a lei la cosa pareva non interessare.
 “Non sapevo come distoglierti da quelle.” disse Tip come giustificazione non richiesta, indicando la volta del cielo notturno. “Fissata come sei...”
 “Fissato sarai tu. Gli uomini hanno guardato le stelle fin dalla più remota antichità...”
 “Dai tempi dei babilonesi e dei persiani, me l’hai già detto.”
 “Lo so che te l’ho già detto, ma adesso ho scoperto una cosa strana...”
 Una cosa strana che doveva essere successa a migliaia di anni-luce di distanza, pensò Tip, a cui in quel momento non interessava nulla che non lo aiutasse a risolvere i suoi due problemi impellenti, trovare un videogioco e convincere Gwen. Ma si dispose ad ascoltare docilmente sua sorella, come per farsi perdonare lo scherzo di cattivo gusto. Margie prese l’enorme (così sembrava a Tip) libro che si trovava su un tavolino, e Tip si trovò a osservare una raffigurazione del cielo con le stelle e i pianeti.
 “Guarda.” gli disse. “Questa è la collocazione delle stelle nel 1647.”
 La ragazza voltò la pagina. Nella nuova raffigurazione del cielo lui non notò alcuna differenza, ma lei evidentemente sì perché disse: “Questa invece è la collocazione delle stelle nel 1768.”
 Margie voltò di nuovo la pagina e indicò quella che secondo lei era la collocazione delle stelle nel 1899, cioè esattamente cento anni prima.
 “E allora?”
 “E allora le stelle oggi, nel 1999, non dovrebbero essere come sono, come io le vedo con il telescopio.”
 “Sei sicura di non sbagliarti?”
 “Certo che sono sicura, ho ripetuto i calcoli un casino di volte, e le stelle non cambiano il loro moto. E’ come se avessero fatto un salto.”
 “E chi lo dice?”
 “Uffa! Con te non si può parlare!”
 “Scusa, scusa, vai avanti.”
 “E poi c’è un’altra cosa. Hai presente un’eclisse? La luna gira intorno alla terra che, a sua volta, gira intorno al sole, fin qui ci arrivi? Ebbene, un’eclisse avviene quando una linea retta attraversa esattamente il centro del sole, della luna e della terra. Quando questo avviene, il sole è nascosto alla terra. Sappiamo di molte eclissi avvenute nell’antichità e nel medioevo. L’ultima eclisse totale è avvenuta nel febbraio del 1961. Un’altra doveva esserci l’11 agosto di quest’anno, cioè una settimana fa, e quella successiva il 3 settembre 2081. E sai una cosa? L’11 agosto l’eclisse non c’è stata.”
 “Be’, sarà in ritardo, prima o poi avverrà.”
 Margie lasciò il telescopio e scoppiò a ridere.
“Tip, posso dirtelo? Sei ignorante come una capra. I movimenti degli astri possono essere previsti con precisione con centinaia di anni di anticipo, che dico? milioni di anni di anticipo.”
 Quei numeri a Tip facevano girare la testa, e poi si era accorto che gli era venuto sonno. Meglio andare a letto, se il mattino dopo voleva alzarsi presto per cercare il videogioco. Baciò sulla guancia sua sorella, che però era già tornata al suo telescopio borbottando: “Non capisco, proprio non capisco!”

*     *     *
Tip e Gwen raggiunsero il terzo piano senza incontrare nessuno. Come avevano accertato, quell’edificio era completamente disabitato.
 “Uffa, io sono stanca!” sbuffò Gwen, e si massaggiò le gambe che le uscivano dalla minigonna. In testa portava un cappello da cow boy da cui sfuggiva la sua disordinata e allegra chioma rossa.
 “Siamo arrivati.” rispose Tip. Aprì la porta e si fece da parte per lasciare entrare la ragazza.
 “Uau!” disse lei.
 “Allora, ne valeva la pena?”
 L’anticamera ospitava una grande specchiera con la cornice dorata intagliata. Non c’erano altri mobili, ma quello era già sufficiente a suscitare l’eccitazione di Gwen, che si mise in posa come una piccola diva.
 “E piantala, il meglio è nell’altra stanza.”
 Il “meglio” era costituito da un enorme letto matrimoniale dotato di una testiera di legno intagliato e sbalzato. Tip abbracciò Gwen e la baciò sulla bocca. Anche lei gli cinse le braccia intorno al collo, e lui sentì i piccoli e sodi seni di lei che gli si strofinavano sul petto. Questa volta era fatta, pensò. Se erano arrivati fin lì, sarebbero andati fino in fondo.
 Fu Gwen a staccarsi per prima, ma solo per togliersi la t-shirt su cui era stampato Bug’s Bunny. Come lui aveva già capito, la ragazza non portava reggiseno. Anche lui si tolse il gilet e la camicia, e cominciò a slacciarsi le sue enormi scarpe. Quando alzò gli occhi, vide che la ragazza si era accovacciata sul letto, con solo le mutandine e il cappello da cow boy, e lo guardava in modo invitante.
 Lui salì sul letto e fece per abbracciarla di nuovo, ma lei gli si sottrasse e rotolò più in là con una risata squillante. Sembrava che, più che a lui, lei fosse interessata all’enorme materasso che si abbassava sotto il loro peso. Finalmente Tip riuscì ad afferrarla, i due si abbracciarono di nuovo, e di nuovo le loro bocche si unirono. La voce rimbombò come un tuono.
 “Ragnarok!”
 I due ragazzi si voltarono di scatto, Gwen urlò, afferrò la t-shirt e se la strinse sul petto. Tip balzò in ginocchio, facendo cigolare le molle del letto. L’uomo sporco e dagli occhi spiritati stava in piedi sulla porta e tendeva verso di loro una mano da cui pendeva quello che sembrava un vecchio zaino. Inginocchiato sul letto, Tip si mise a balbettare. L’uomo fece un passo verso di loro, e Gwen si aggrappò al ragazzo, conficcandogli le unghie nel braccio.
 “Ragnarok... “ ripeté l’uomo. “Ragnarok verrà e vi ucciderà… tutti... Tutti!”
 Fece un altro passo, e gettò lo zaino che si posò morbidamente sul materasso, a circa un metro dai due ragazzi. L’uomo si voltò e uscì dalla stanza.

*     *     *
Gary, Margie e Shirley avevano ascoltato il racconto di Tip e Gwen dapprima incuriositi, poi perplessi. Si trovavano seduti  a un tavolo del bar di Bert, e al centro del tavolo era posato lo zaino lasciato dallo sconosciuto davanti ai due ragazzi.
 Margie chiese: “Non sarà stato il precedente occupante dell’alloggio, incavolato per la vostra intrusione?”
 “E’ la prima cosa che abbiamo pensato, ma c’è questo.” rispose Tip, indicando lo zaino.
“E continuava a ripetere quella parola, Ragnarok?” chiese Gary.
“Sì, la parola era proprio quella.” disse Tip.
 “Ragnarok” spiegò Gary. “E’ il nome dato dalla mitologia nordica alla fine dei tempi, quando il lupo primordiale divorerà il mondo e inizierà un nuovo ciclo.”
 “Un nuovo ciclo? Ne capisco meno di prima.” chiese Gwen.
 “Cosa c’entra con noi? Cosa voleva quel tipo?”
 “Avete già visto cosa c’è nello zaino?” chiese Gary.
 “Che domande, certo, ma guardate anche voi!” rispose Tip.
 I ragazzi si guardarono intorno con aria furtiva. Nel locale oltre a loro c’era solo Jimmy vicino al juke box, che stava mandando un pezzo di Bob Dylan. Dietro il bancone il grasso e pelato Bert era immerso, come suo solito, in una rivista di enigmistica. Dal vecchio zaino sporco e scucito vennero fuori un cd-rom, un ritaglio di giornale e un frammento di carta geografica.
 Tip indicò il cd-rom e disse: “Quello non l’abbiamo guardato, pensavamo di farlo insieme.”
 “Sì, ma dove? Meglio non lo sappia nessuno, magari c’è solo un videogioco, ma chissà, magari c’è qualcosa che scotta.”
 “Io spero che sia un videogioco bestiale che ancora non conosco.” esclamò Tip.
 “Magari c’è qualcosa di erotico...” bisbigliò Gwen.
 “Be’, io vivo sola,” disse Shirley. “ma non ho un lettore di cd-rom, sapete, io preferisco i vinile...”
 “Se è solo per quello, il lettore cd lo trovo io.” disse Tip.
 Furono tutti d’accordo, e passarono all’esame degli altri oggetti dello zaino. Il frammento di carta geografica raffigurava una costa su cui si trovavano alcune città che si chiamavano San Francisco, Los Angeles e San Diego. Il ritaglio di giornale escludeva la data, ma doveva essere vecchio perché i margini erano smangiati e i caratteri sbiaditi. Conteneva  un articolo intitolato NEL DESERTO PER SALVARE IL MONDO. Gary lesse ad alta voce l’articolo.

Santa Fè. Il nostro e altri governi hanno incaricato il professor Raymond Gareggio, docente della Caltech, l’Università Tecnologica della California, di trovare una soluzione all’attuale drammatica crisi mondiale. Sotto la sua direzione, un gruppo dei maggiori esperti di economia, ingegneria, agronomia e demografia lavorerà in totale isolamento in un monastero abbandonato nel deserto del Nuovo Messico. Con il supporto di computer ultraveloci dell’ultima generazione, il gruppo è in contatto on line con le banche dati delle maggiori università, biblioteche e istituti di ricerca del mondo. Secondo il professor Gareggio, un anno sarà sufficiente per elaborare un piano.

L’articolo era corredato dalla foto di un uomo dalle guance cascanti e dai radi capelli grigi. Anche la foto era sbiadita, ma si capiva che l’uomo sorrideva, aveva lo sguardo rassicurante e sornione di un vecchio zio. Secondo la didascalia, quell’uomo era Raymond Gareggio, il direttore dell’équipe al lavoro nel monastero in mezzo al deserto. I cinque ragazzi si passarono il giornale e la carta geografica.
“Queste città... Los Angeles, San Francisco... voi le avete mai sentite?” chiese Gary.
 “Io no.” rispose Tip.
 Anche Shirley negò di aver mai sentito quei nomi strani.
“Los Angeles una volta l’ho letta su un libro.” disse Margie. “E’ uno di quei posti favolosi che non si sa se siano esistiti davvero, come Atlantide, Eldorado, Parigi, l’Italia...”

*     *     *
Shirley aprì la porta e lasciò entrare i suoi amici. Tip posò il lettore cd e l’altoparlante, e si mise subito all’opera per collegare entrambi al computer di Shirley. Nella casa c’era un’unica poltrona, più una sedia in cucina, ma Margie e Gwen portarono due sedie dall’alloggio disabitato del piano di sotto.
 L’immagine apparve di colpo, e di colpo risuonò la voce dall’altoparlante, tanto che i ragazzi sobbalzarono. L’immagine mostrava molti  uomini seduti su poltrone dall’imbottitura rossa e dai braccioli neri. Doveva essere una sala per conferenze, perché era una stanza molto grande, gli uomini indossavano abiti eleganti, le poltrone erano disposte in file allineate ed erano rivolte verso un palco su cui un altro uomo era in piedi accanto a un leggio. La scena zoomò sull’uomo in piedi, che comparve in primo piano. Alle sue spalle c’era uno schermo bianco.
“E’ il professor Raymond Gareggio, quello del giornale!” esclamò Shirley.
 “Sì, è proprio lui!” rispose Gary.
 “Zitti, che sta parlando.” disse Margie.
 Il professor Gareggio aveva azionato un apparecchio e alle sue spalle, schermo nello schermo, erano apparse delle cifre. La voce usciva dall’altoparlante con un fastidioso ronzio di sottofondo, ma abbastanza intelligibile.
 “Signori, come vedete, la civiltà come noi la conosciamo crollerà alle ore 17,22 del 6 giugno 2004 a causa del sovraffollamento, della carenza di risorse energetiche, idriche e alimentari, del black out dei trasporti e delle comunicazioni, del totale dissesto dell’ambiente naturale, accompagnati da epidemie, guerre tribali, razziali e religiose, guerriglie e colpi di stato a catena, con uso di armi atomiche, chimiche e batteriologiche. Il risultato sarà il caos destinato a durare 923 anni, 4 mesi e 11 giorni prima che si riformi qualcosa di simile a Stati unitari e centralizzati.  Qualunque piano i governi attuino può al massimo rinviare il risultato di altri 5 anni, tranne il piano Ragnarok, che ora vi illustrerò.”
 Mentre lo scienziato parlava, la camera panoramicava sugli ascoltatori. Le loro espressioni erano attente, alcuni prendevano appunti, uno si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto. Erano tutti bianchi tranne un nero. C’era anche una specie di sceicco, con il turbante in testa. Erano tutti uomini tranne due donne, sedute lontane una dall’altra, una più anziana, entrambe con eleganti tailleur. La camera passò anche sull’ampia vetrata, al di là della quale si vedeva il deserto sotto il sole sfolgorante. Lo scienziato tacque alcuni secondi, e sorrise. Sembrava proprio un vecchio zio affettuoso. Quindi proseguì.
 “Prima fase. Un apposito programma selezionerà gli scienziati, gli industriali e gli amministratori indispensabili alla riorganizzazione della civiltà, cioè tutti i presenti in questa sala più un migliaio di altri, con le loro famiglie. A questi vanno aggiunti i tecnici, gli operai, i medici, gli insegnanti, i piloti e gli impiegati indispensabili ai vari servizi, con le loro famiglie. Totale circa 100.000 persone.  Seconda fase. Tutte queste persone verranno trasferite in totale segretezza e senza preavviso in appositi rifugi anti-atomici e anti-gas del tutto autosufficienti. Terza fase. Il resto dell’umanità sarà totalmente sterminato per mezzo di gas nervino e al cianuro, in modo da lasciare intatti edifici, sovrastrutture, macchine, opere d’arte...”
 Ognuno dei cinque ragazzi guardò i suoi amici, solo per trovarsi a fissare i loro occhi spalancati, a loro volta fissi su di lui. Prima che uno di loro riuscisse a dire qualcosa, la voce riprese bassa e uniforme.
 “Quarta fase. I superstiti usciranno dai rifugi, occuperanno venti città localizzate in posizioni particolarmente favorevoli, ovvero una media di 5.000 abitanti per ognuna di esse, le sgombreranno dai cadaveri e vi ricostruiranno la civiltà su scala ridotta, senza più sovraffollamento, povertà, inquinamento, delinquenza, guerra.”
 Lo schermo nello schermo mostrò un planisfero su cui venti puntini azzurri indicavano le località prescelte per la rinascita della civiltà. Erano molto lontane una dall’altra, metà di esse erano vicino al mare. Lo scienziato tacque di nuovo, la camera panoramicò su uno dei presenti che si era alzato in piedi.
 “Professor Gareggio, voi parlate di sei miliardi di cadaveri! Come sarà possibile bruciarli o seppellirli tutti?”
 “Non sarà necessario bruciarli o seppellirli tutti. Sarà sufficiente sgombrare solo le città prescelte. In ognuna delle città prescelte ci sarà circa un milione di cadaveri, mille persone si occuperanno di quei cadaveri, operazione che le occuperà per un periodo compreso tra sei e dieci mesi, mentre le altre persone si dedicheranno alla riorganizzazione della vita associata in tutti i suoi aspetti. A tutti gli altri cadaveri nel resto del mondo provvederà la natura, in meno di cento anni non ne resterà più nessuna traccia. Signore e signori, ognuna delle città prescelte avrà tutto il necessario come arredo, tecnologia, arte, verde, svaghi e tutto il resto. Ogni famiglia potrà scegliere un alloggio ampio e comodo tra tutti quelli che si saranno liberati e usufruire di una quantità illimitata di beni di consumo. Dagli alloggi che rimarranno vuoti potranno essere prelevati infissi, mobili, elettrodomestici e tutto quanto ognuno vorrà. Ognuno potrà godere di un’amplissima scelta. Naturalmente l’usura farà il suo corso e sarà necessario censire e riparare le macchine e i veicoli abbandonati, finché non esisterà la capacità di costruirne altri, capacità che però non sarà necessaria per molto tempo. Lo stesso per gli alloggi. Ma prima che questo accada, tutto sarà a disposizione di tutti. Tutti miglioreranno la loro condizione perché basterà un minor numero di ore di lavoro, il rapporto tra medici, insegnanti e altri professionisti e popolazione sarà molto più vantaggioso. Ad esempio, ci sarà un medico ogni trentanove abitanti.”
 Ora Gareggio era di nuovo in primo piano, e sorrideva. Lo schermo alle sue spalle era vuoto.
 “Non esisteranno più disoccupati, mendicanti o senza casa, niente più code né agli sportelli né ai semafori, niente più rumore, niente più gas di scarico, niente più smog. Avremo traffico scorrevole, servizi efficienti e aria pulitissima, mentre negli immensi spazi vuoti tra le città abitate la fauna e la flora rifioriranno in modo lussureggiante. Da quel momento passeranno almeno duemilaottocento anni di pace e abbondanza prima che si riproduca la situazione iniziale di sovraffollamento, conflitti, inquinamento e scarsità.”
 Infine l’altoparlante tacque e il monitor si oscurò, e si udì solo il respiro affannoso dei cinque ragazzi.


*     *     *
Donald  Baxter spinse il tasto di STOP e guardò suo figlio che era rimasto in piedi, nel salotto con il tappeto persiano e gli infissi in pino laccato.
 “Hai visto che roba?”  chiese Gary.
 L’uomo si alzò, estrasse il cd e rispose: “Ho visto un film di fantascienza.”
 “Ma non è un film! Quello era lo scienziato che c’era sul giornale, non un attore!”
 “Sì, c’è una certa somiglianza ma...”
 “E’ lui, ti dico! E il piano Ragnarok è quello di cui parlava quell’uomo che Tip e Gwen hanno incontrato in quell’alloggio disabitato!”
 L’uomo sorrise, si tolse gli occhiali di tartaruga e appoggiò una mano sulla spalla di suo figlio.
 “Se non è un film di fantascienza, allora è l’opera di un burlone. Andiamo, Gary, sei un ragazzo intelligente! Come puoi prendere sul serio una cosa così... così pazzesca?! Tu l’hai creduto davvero?!”
 “Se qualcuno molto potente e molto organizzato ha elaborato quel piano, tutti devono saperlo! Bisogna assolutamente bloccarlo! Per salvare sei miliardi di persone!”
 Donald Baxter guardò suo figlio negli occhi e capì che nessun argomento razionale avrebbe potuto calmarlo. Guardò il cd-rom che teneva in mano e disse: “D’accordo, Gary. Ammetto che un rischio di quella portata vale almeno un accertamento. Ne parlerò allo sceriffo Sly Mc Kenzie, domani al golf.”
 Gary tirò un sospiro di sollievo e si passò una mano nei capelli. “Giusto, papà. Se davvero risulterà una bufala tanto meglio, no?”
 “Giusto, Gary, giusto.”
 Donald Baxter, in piedi accanto alla finestra, guardò suo figlio attraversare il prato su cui si trovavano le poltrone a sdraio e l’attrezzatura per il barbecue. Quindi sollevò il ricevitore del telefono e parlò in fretta: “Philip Hargrove? Sono Donald Baxter. Non hai tempo? Sarà bene che lo trovi, allora. Dobbiamo accantonare momentaneamente i nostri dissapori perché abbiamo un problema comune molto più grave.”

*     *     *
 “Cosa ne pensi di questa storia?” chiese Gary.
 Shirley sospirò. Per l’occasione si era messa una camicia di coulisse, una gonna di organza a un paio di scarpe Gucci. Erano seduti nella Chevy rossa nel drive-in dove stavano proiettando un film d’azione.
 “Ma... non lo so. Se quel video è vero, chi l’ha realizzato? Chi era quel tipo che l’ha dato a Tip e Gwen? Da dove arrivava? E dov’è adesso?”
 “Forse è ancora nell’edificio dove Tip e Gwen l’hanno incontrato. Se andassimo a vedere?”
 Gary avviò la Chevy, uscirono dal drive-in e, poco dopo, arrivarono alla zona in questione. Gary parcheggiò, spense il motore e fece per scendere, ma lei lo trattenne per un braccio.
 “Il tuo amico ha detto che quell’edificio era disabitato, no?”
 “Sì, e allora?” chiese ma, prima che la ragazza rispondesse, anche lui le vide. Vide le luci che si accendevano e spegnevano nel secondo e nel terzo piano del palazzo e poi, per qualche minuto, anche al pianterreno. Come se qualcuno stesse cercando qualcosa nei diversi alloggi, nelle diverse stanze. Gary richiuse la portiera.

*     *     *
Gli occhi si erano abituati all’ombra della cantina, come le narici si erano assuefatte alla polvere e alla puzza. Aveva dormito e si sentiva riposato, ma ora aveva fame. Trattenne il respiro. Gli era sembrato di sentire un rumore lieve, dei passi. Fece per alzarsi, ma fu allora che la luce lo abbagliò.
 “E’ lui, spara! Spara!”
 Lo sparo lo assordò, e sentì il proiettile entrargli nel petto. Cadde a terra, in preda a un dolore lancinante. Sentì il metallo della canna di un’arma da fuoco sulla tempia.
 Philip Hargrove premette di nuovo il grilletto.
 “E’ proprio lui.” Ora la voce era calma e pacata. “Frank Eddings era l’assistente di Gareggio, lui aveva elaborato Ragnarok puramente come simulazione matematica, ma Gareggio l’aveva perfezionato e trasformato in un piano operativo, e allora lui era impazzito, ha filmato la conferenza e ha fatto perdere le sue tracce. Da allora tutti hanno creduto che Eddings fosse morto e il video perduto.”
 “Be’, ora abbiamo ritrovato entrambi, non ci resta che fare sparire il corpo.” rispose una seconda voce.
 Ansimando, Donald Baxter e Philip Hargrove sollevarono il cadavere e si diressero verso la scala che Frank Eddings non aveva fatto in tempo a raggiungere, mentre un terzo uomo la illuminava con la torcia elettrica.

*     *     *
Gary guardò Shirley, e vide sul volto di lei il suo stesso stupore. Gli uomini che erano usciti in gruppo dall’edificio che tutti credevano disabitato si erano incamminati lungo il marciapiede, dall’altro lato della strada dove era parcheggiata la Chevy.
 “Quello... quello è mio padre.” mormorò Gary.
 “E quell’altro è il direttore della LBT, il mio capo!” disse Shirley.
 Riconobbero anche il preside del liceo, lo sceriffo Sly Mc Kenzie e il professor Sam Russel, primario dell’ospedale. Quando gli uomini passarono sotto un lampione acceso, i due ragazzi notarono che le loro espressioni erano chiuse e dure. Gary non ricordava di aver mai visto quell’espressione sul volto di suo padre.

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Gary, Shirley, Tip, Gwen e Margie erano seduti nella biblioteca del liceo, che era anche un luogo di ritrovo. Infatti, oltre agli scaffali, al tavolo e alle sedie, c’erano anche dei divani e una macchinetta distributrice di bibite.
 “Allora?” chiese Tip.
 “Niente.” sospirò Gary. “Mio padre dice che ha mostrato il video allo sceriffo Mc Kenzie, che però dice di non poter fare niente, di non avere abbastanza elementi.”
 “Cioè... nessuno farà niente?!” chiese Tip.
 “Ma è pazzesco!” esclamò Margie, senza attendere la risposta di Gary alla domanda di Tip. “Quel piano mostruoso può scattare in qualunque momento entro il 2004, che è tra meno di 5 anni! E non sappiamo a che punto siano i preparativi! Potrebbe anche essere domani!”
 “Sentite...” disse Shirley. “Loro dicono che non hanno abbastanza elementi? E se noi gliene procurassimo degli altri più convincenti? A quel punto...”
 “Altri elementi?” E quali?” chiese Gary.
 Shirley cominciò a esporre la sua idea, che gli altri ascoltarono attentamente. Nessuno dei cinque ragazzi si accorse di avere un ascoltatore, nascosto dietro la porta, che non si perdeva una sola delle loro parole.

*     *     *
La maggior parte degli uomini erano seduti sul divano e le poltrone della sala, alcuni erano in piedi e guardavano nervosamente fuori dalla finestra. Tutti si erano tolte le giacche e allentati i nodi delle cravatte, e alcuni avevano la barba di tre o quattro giorni. Il nervosismo traspariva anche dalle nuvole di fumo che ristagnavano nell’aria, fumo di tabacco ma anche di qualcos’altro più forte. Zack Hargrove era seduto su una sedia in un angolo, e sembrava indifferente agli sguardi tra l’incuriosito e lo sprezzante di quegli uomini.
 “Allora, Hargrove,” chiese Sly Mc Kenzie. “perché hai portato con te il tuo ragazzo? Doveva essere una cosa tra noi.”
Lo sceriffo era  un uomo sui cinquanta, con i capelli bianchi a spazzola e una grosso ventre che trabordava dal cinturone con la fondina della Smith & Wesson.
 “Sì, anch’io non vedo il motivo...” disse Baxter.
 Philip Hargrove si rivolse a suo figlio, che sputò la gomma che aveva in bocca, si alzò in piedi e, come suo solito, infilò le mani nelle tasche laterali del giubbotto nero chiodato.
 “Zack, ripeti quello che hai detto a me.”
 “Un momento, un momento...” disse Zack, e guardò di sottecchi gli uomini come per studiare gli effetti delle sue parole. “Fino a pochi giorni fa puntavo a diventare rappresentante degli studenti nel consiglio del liceo. Ora sto per darvi un’informazione importante, e voglio qualcosa di più.”
 “Importante quanto?” chiese Russel.
 “Inutile barare,” disse Philip Hargrove. “Mio figlio ha capito tutto.”
 “Proprio così, signori.” disse Zack. “E ho capito anche che Gary e gli altri stronzetti amici suoi possono darvi grossi fastidi, e io so quale sarà la loro prossima mossa.”
 Baxter, Mc Kenzie e Russel si guardarono, visibilmente preoccupati, quindi riportarono lo sguardo sul massiccio capitano della squadra di football del liceo.
 “D’accordo, figliolo.” disse Mc Kenzie. “Cosa vuoi?”


*     *     *
Il Pick Up era costretto a continue sterzate per evitare le buche di cui l’Interstate era cosparsa. I cinque ragazzi non erano mai arrivati tanto lontano, e osservavano stupiti i giganteschi alberi che proiettavano la loro ombra sulla sede stradale, quasi un mantello legnoso e resinoso.
 “Sentite,” disse Tip, in tono piagnucoloso. “questa storia mi fa una paura fottuta, e spero che alla fine scopriremo che il padre di Gary aveva ragione, e che è tutta una bufala.”
 Gary, al volante del veicolo, si voltò verso il suo amico seduto al suo fianco. Le tre ragazze erano sedute dietro. Tip continuò: “Dopotutto abbiamo solo visto un video molto disturbato, e quell’uomo era chiaramente fuori di testa.”
 “E’ per questo che siamo qui.” rispose Gary. “L’unica traccia oltre al video è la misteriosa città segnata su quel pezzo di carta geografica. Se la carta non è falsa, quella città non è lontanissima. Andiamo a vedere, poi decideremo il da farsi.”
 Il veicolo frenò di fronte a dei cavalletti che ostruivano tutta la sede stradale, cartelli che dicevano che era vietato andare oltre e che c’era pericolo. Grande pericolo. Gary guardò i suoi compagni di viaggio. Margie fece un ampio gesto con la mano, Gary ingranò la prima e ripartì. Il veicolo abbatté due cavalletti, li superò con un sobbalzo, e proseguì. I ragazzi si sentirono preda di una strana ebbrezza, come se avessero superato il punto di non ritorno, il confine del mondo conosciuto. Come se fossero sbarcati su un altro pianeta.
 “Guardate!”
 “Cavoli! Ma allora esiste!”
 Su un lato della strada, quasi completamento avviluppata dai rami e dalle fronde che erano cresciute in modo incontrollato, campeggiava un’insegna azzurra fissata a supporti di cemento, e su quell’insegna c’era scritto LOS ANGELES. Oltre all’insegna, sull’orizzonte si profilava una distesa di molti edifici. Il profilo di una metropoli.
 “E allora andiamo a Los Angeles!”
 Il primo che videro era dentro un’auto ferma di traverso sulla strada. Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione, ma le mani erano ancora aggrappate al volante. Poi vennero gli altri, distesi ai lati della strada o dentro a veicoli, due auto incastrate una nell’altra, un camion capovolto. Occhiaie vuote, pelli screpolate, mandibole penzolanti da cui colavano fluidi verdastri. Poco dopo il Pick Up correva lungo un’ampia strada, i palazzi ai lati con i manifesti che pubblicizzavano prodotti sconosciuti e dimenticati, le insegne delle ditte e le vetrine dei negozi da tempo senza clienti.
 E cadaveri dappertutto. Un leggero vento sollevava i capelli e i vestiti, conferendo una ingannevole apparenza di movimento a quel mondo morto. Uomini e donne erano sparsi sui marciapiedi, all’interno di auto incastrate e accatastate, nei mezzi e nei locali pubblici, dentro i portoni e sulle gradinate. In alcuni di loro la decomposizione aveva quasi completato la sua opera, e gli scheletri facevano capolino dagli abiti sfilacciati e afflosciati, e lasciavano indovinare altrettanti loro simili dietro ogni finestra, dentro ogni alloggio, lungo tutte le strade.
 L’asfalto era spezzato in molti punti, e dagli squarci uscivano radici contorte che si protendevano in tutte le direzioni. Rami, viticci e liane verdi e gialle avviluppavano carcasse d’auto, pali della segnaletica, idranti e parchimetri, ed entravano anche nelle bocche, nelle orecchie e negli occhi vuoti.
 Gary fermò il Pick Up con una ruota sul marciapiede e disse: “Ragazzi, siamo degli idioti. La spiegazione è molto semplice e l’abbiamo sempre avuta davanti agli occhi.”
 “Cosa vuoi dire?” Tip e Gwen non riuscivano a smettere di guardarsi intorno, consapevoli di stare osservando la condizione non solo di una città ma del mondo intero.
 “E’ impossibile bloccare il piano Ragnarok perché è già stato attuato prima della nostra nascita. Noi siamo nati nel mondo di Ragnarok. Noi siamo i figli di Ragnarok.”
 Lo sparo fece saltare lo specchietto retrovisore esterno. Due o tre auto stavano arrivando a tutta velocità. Gary rimise in moto e fece partire il Pick Up con un balzo. Dai nuovi arrivati partirono altri spari. Una gomma esplose, il Pick Up sbandò e investì in pieno una carrozzina, il bambino che c’era dentro volò e atterrò ad alcuni metri di distanza con un rumore come di bagnato. Il veicolo cominciò a correre a sobbalzi. Un altro sparo mandò in frantumi il vetro posteriore.
 “Ci ammazzano! Ci ammazzano!” gridò Gwen.
 Gary svoltò un angolo, fermò il Pick Up, aprì la portiera e gridò ai suoi amici di seguirlo. Tutti si misero a correre in un vicolo. Gwen perse il suo cappello da cow boy. Sempre correndo, svoltarono un altro angolo, e sentirono i motori dei loro inseguitori in lontananza.
 “Supermarket” diceva l’insegna. I ragazzi aprirono la porta, quasi si buttarono dentro e si trovarono nel salone occupato dai lunghi scaffali allineati. Uomini e donne, e due o tre bambini, erano stesi sul pavimento. I nasi e gli occhi erano sprofondati nel volto, la pelle era quasi completamente andata e la trama residua dei tessuti si confondeva con la materia organica. Dal registratore di cassa spuntava l’ultimo scontrino battuto e mai strappato, e i soldi corrispondenti erano ancora posati accanto ad esso. I ragazzi si accovacciarono dietro uno scaffale. Tutti ansimavano per la corsa e tremavano per la paura, Gwen cominciò a piangere, Gary si sporse per tenere d’occhio la vetrina.
 Margie toccò suo fratello e chiese: “Ricordi quando ti ho detto dell’eclisse che non c’è stata quando avrebbe dovuto esserci?”
 “Certo che mi ricordo. Doveva essere tre settimane fa, no?” rispose Tip. “Era forse a causa di Ragnarok?”
 “Quell’eclisse c’è stata puntuale l’11 agosto 1999. Non l’abbiamo vista per il semplice motivo che non siamo nel 1999, ma nel 2039. Il piano Ragnarok comprendeva la retrodatazione del calendario. Hanno cancellato 40 anni, li hanno buttati via come se non fossero mai esistiti. I nuovi nati, tra cui noi, non dovevano sapere nulla di Ragnarok. Retrodatare al Duemila non sarebbe bastato perché sarebbe stato inspiegabile come tutte le guerre e le crisi di quell’anno fossero cessate di colpo. Il cd-rom era disturbato perché era vecchio di molti anni, almeno venti, come il ritaglio di giornale e la carta geografica. Ma non potevano spostare le stelle.”
 “Zitti!” bisbigliò Gary. Alcuni uomini si erano affacciati alla vetrina. In mano tenevano dei fucili. “Sono lì?” chiese la voce di qualcuno che i ragazzi non potevano vedere. Uno degli uomini scosse la testa, e il gruppo sembrò allontanarsi.


*     *     *
Baxter, Hargrove, Mc Kenzie e Russell avanzavano  scavalcando i cadaveri. Ognuno di loro impugnava un fucile. Mc Kenzie era in contatto radio con gli altri gruppi che si erano allargati a ventaglio nella città morta.
 “Tutto questo perché non abbiamo detto la verità ai nostri ragazzi fin dall’inizio...” mormorò Baxter.
 “Di questo abbiamo discusso a suo tempo.” rispose Russel. “Era imprevedibile come i nuovi nati avrebbero reagito scoprendo che i loro genitori, zii e nonni avevano sterminato sei miliardi di esseri umani. Si sarebbe potuto inculcargli dalla nascita una diversa morale che giustificasse Ragnarok, ma questa soluzione avrebbe potuto rivelarsi ancora più pericolosa. Molto meglio che Ragnarok restasse una cosa impensabile, innominabile e irripetibile.”
 In quel momento stavano passando davanti al dehors di un ristorante, i cadaveri erano accasciati con le facce nei piatti su cui si trovavano i resti putrefatti del loro ultimo pasto.
 “L’abbiamo fatto anche per loro.” proclamò Russel. “Loro sono i figli della rinascita, gli abitanti del nuovo mondo, puri e innocenti. E tali devono rimanere.”
 Da un punto dietro i palazzi giunsero cinque spari. Lo sceriffo fece cenno agli altri di tacere, parlò alla radio, ascoltò per alcuni secondi. Quindi disse: “Ok, ragazzi, ci ritroviamo al punto stabilito.”
 Gli altri uomini avevano ascoltato immobili.
 “Li hanno trovati.” disse lo sceriffo, in risposta alla loro muta e cupa domanda. “Li hanno trovati e uccisi. Nessuno degli altri ragazzi di Long Beach saprà mai di Ragnarok.”
 I papà, gli zii e i nonni misero i fucili sulle spalle e si avviarono verso le auto, accingendosi a tornare alla ridente cittadina dove tutto funzionava bene e non mancava niente, e non esistevano né povertà né sovraffollamento né inquinamento né crimine.