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Il complotto
delle statue di cera


di Riccardo Borgogno
Illustrato da Silvia Rocchi
Eris Edizioni
Collana Atropo - Narrativa
544 pagine in bianco e nero
12x17 cm
ISBN 9788898644179
17,00 €
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Il complotto delle statue di cera, attraverso diverse epoche storiche, da Arduino e la sua lotta contro il Papato, alla trasformazione del ducato dei Savoia in regno, sino ai giorni nostri, segue il percorso di un antico sapere esoterico e alchemico. Uno strumento che può essere usato per il bene o per il male, per amore del sapere o per il potere fine a se stesso.
Ai nostri giorni, attraverso un incontro casuale, Milo, insegnante disoccupato, si trova incastrato in una storia antica, che fa paura di quel terrore che si prova quando si vedono cose che il cervello dice essere impossibili. In una Torino misteriosa, dove chi parla di magia non ne sa niente e chi ne sa qualcosa si nasconde dietro a rispettabili istituti finanziari, laboratori di ricerca scientifica e case editrici, Milo dovrà riuscire a capire perché si trova invischiato in situazioni surreali e fatti senza spiegazione. Da quando ha deciso di aiutare Erik, un ragazzino che ha conosciuto per caso, la sua vita e quella di Tamara scivolano nell’incredibile, e le cose, quelle che non possono essere, le sta per incontrare.
 
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“Chiamami Jolanda, tesoro.” disse la donna mentre si alzava. Tamara ignorò l’occhiataccia di Milo. La professoressa aprì l’armadio a vetri, prese un libro, lo aprì e spiegò: “È  la relazione del maresciallo francese Catinat al ministro Louvois.” Poi prese a leggere: “Gli uccisi sono 2.000, gli incarcerati sono 8.500, 3.000-3.500 fuggiti per gole e forre al di là delle Alpi, in Francia e in Svizzera. Non c’è il numero dei neonati strappati ai genitori e dati in adozione. Dei valdesi prigionieri metà non supera l’estate a causa di malattie e infezioni. Sono mal sistemati, mal nutriti, gli uni addosso agli altri, e quegli che è in buona salute non può che respirare aria viziata. Oltre a questi mali la tristezza e la nostalgia, a ragione causate dalla perdita dei beni e da una prigionia di cui non vedono la fine, la perdita o per lo meno la separazione dalle mogli e dai figli che essi non vedono più e di cui non conoscono la sorte. Molti di essi, in tali condizioni, tengono discorsi sediziosi, che li consolano delle loro disgrazie e delle loro miserie.”
     Jolanda Morioni guardò Milo, che a sua volta guardava lei perplesso. Quindi depose il libro sullo scrittoio e concluse: “Tra i 1.400 rinchiusi nel castello di Carmagnola ne morì un migliaio, un altro migliaio morì tra i 1.400 imprigionati a Saluzzo. Dei 1.000 del carcere di Trino ne sopravvissero 46.” La professoressa scosse la cenere dalla sigaretta, e solo in quel momento Milo notò che il teschio era in realtà un portacenere.
      “Comunque la storia dei valdesi non finì qui. I superstiti si nascosero in grotte e gole,
e si organizzarono in bande armate con il nome di Invincibili, al comando di capitani come Paolo Pellenc e Daniele Mondon. Il duca intendeva riempire le casse dello stato vendendo ai nuovi proprietari cattolici le terre espropriate ma, sotto l’attacco degli Invincibili, l’affare sfumò. Quelle grotte, in una località ancora oggi nota come Vallone degli Invincibili, furono riscoperte durante la seconda guerra mondiale e utilizzate dai partigiani per nascondervi le armi trafugate ai nazisti.”
    Jolanda Morioni avrebbe continuato a lungo, nessuno era più brava di lei a trovare collegamenti tra avvenimenti lontani e apparentemente estranei, ma ci pensò Tamara, in modo garbato, a riportare il discorso sul primo re dei Savoia.
     “Un ultracattolico, insomma.”
     “Oh, era solo politica. Il massacro dei valdesi rientrava nell’alleanza con il Re Sole e con la Chiesa Cattolica. Ma non disdegnava di occuparsi di magia, alchimia e astrologia. Ma questo al suo confessore e al papa non lo diceva.”
       “Vittorio Amedeo II aveva contatti con alchimisti e astrologi?”
      “Molti. Uno in particolare, Giovanni Vincenzo Giobbe Fortebraccio, divenne il suo consigliere privilegiato. Gli predisse la nascita del figlio, che era la cosa che desiderava di più dopo la corona di re.”
     Era il nome che il sedicente padre Eusebio aveva citato, l’aveva chiamato “maestro”, secondo lui aveva recuperato un certo libro che Sekhmet gli aveva sottratto.