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ANNI ’60 – ’90 A TORINO. UNA RICERCA SUL CAMPO
Cos’hanno voluto dire a Torino postfordismo e globalizzazione? Non solo nelle cifre
e nelle tabelle che è possibile legge sulle riviste economiche, ma nella vita quotidiana di tanti
uomini e donne giovani e anziani, nel loro modo concreto di rapportarsi al
redito, al lavoro, al quartiere, alla città e al tempo libero. Ogni all’interno dello stesso capannone o ufficio spesso lavorano fianco a fianco persone
con contratti diversi (formazione lavoro, consulenza, part time) o addirittura
per padroni diversi (appalto, consulenza, lavoro interinale). Sono molte oggi
le strategie di sopravvivenza messe in atto dai singoli e dalle famiglie,
fondate sull’alternarsi di lavori precari, taglio ai consumi, sussidi pubblici, solidarietà parentale e amicale.
Con ogni evidenza, la classe operaia FIAT non occupa più il posto centrale che ha occupato per alcuni decenni. Meno evidente, e tutto da
indagare, è il posto che occupa oggi la multinazionale dell’auto all’interno del tessuto produttivo torinese e i suoi operai all’interno del fronte di classe. Ma oltre alla FIAT molte altre imprese hanno la
sede legale a Torino e nel Piemonte e organizzano parte della produzione e
comandano forza-lavoro di altri Paesi, mentre tanti stabilimenti che si trovano
a Torino e nel Piemonte appartengono a imprese estere, anche multinazionali.
Oltre all’industria, Torino vede una forte presenza di associazioni e cooperative che
occupano personale sia volontario che retribuito, che usufruiscono di
convenzioni pubbliche o che vendono merci e servizi sul mercato. Quali rapporti
sociali esse configurano, quale forza assume il conflitto di classe all’interno di questi rapporti?
La trasformazione del tessuto produttivo ha sconvolto anche il rapporto
topografico centro-periferia-cintura, la tradizionale suddivisione della
giornata tra orario di lavoro e tempo libero e quella della vita tra periodo di
studio e periodo di lavoro. Come oggi sono vissuti il quartiere e la città, le loro risorse e rapporti?
Strettamente legata alla condizione materiale è la sfera della soggettività, delle speranze e dei progetti. Quanto tempo oggi i giovani e i meno giovani
sono disposti a dedicare alla ricerca di reddito e alla sopravvivenza
sottraendolo ad attività ricreative e gratificanti (video, musica, sport ecc.) e ai rapporti
interpersonali? In che misura il posto di lavoro fisso è ancora un obiettivo desiderabile o ancora possibile?
Per cominciare a rispondere a queste domande un gruppo di militanti ha avviato
una ricerca sul campo. Si tratta di militanti di diversa età ed esperienza e diversi percorsi politici, sindacali e culturali, accomunati
dalla convinzione che una strategia o progetto per il conflitto e il
cambiamento possono fondarsi solo sulla conoscenza puntuale dei bisogni, della
condizione e della soggettività di chi quella strategia e quel progetto dovrebbe realizzare. La ricerca si
articola da un lato nella ricostruzione dei cicli e delle reti produttive che
attraversano e si incrociano a Torino, dall’altro in una serie di interviste. Le persone da intervistare sono state scelte
tra i 20-25 anni d’età, cioè che ancora non lavorano o hanno appena cominciato, e i 50-55 anni, cioè che lavorano già da molti anni o hanno finito da poco, concentrati in 4 zone di Torino in modo
da consentire il confronto tra le generazioni. Le zone scelte sono Mirafiori
Sud e Vallette (quartieri abitati in netta prevalenza da famiglie operaie) e
Nizza-Lingotto e San Paolo (quartieri prevalentemente impiegatizi). I primi
risultati della ricerca verranno presentati e discussi al Convegno Nord-Ovest
che si svolgerà l’11-12 aprile 1997 nel Salone della Camera del Lavoro di Torino, ma essa è destinata a durare almeno un anno e a coinvolgere almeno un centinaio di
soggetti, in modo da ottenere un risultato scientificamente attendibile e
concretamente utilizzabile.
Pubblicato su Allt (Associazione dei lavoratori e delle lavoratrici torinesi) n.
12 – aprile 1997
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